Il forno di via Castiglione chiude quando la prima persona esce di casa.
C’è una sentinella in cima al campanile rosa della via che avverte al primo avvistamento.
Questa mattina gli erano rimaste due pizzette che ho diviso con Bosco. Che mi ha fatto una foto un po storta.
L’ 11esima tappa del cammino di Sant’ Antonio parte da Tossignano e arriva al Parco del Carnè, 25 km circa.
Bosco mi ha portato al principio del sentiero e da lì sono andato.
La signora Silvana va a raccogliere erbette nel bosco con suo marito. Lui sistema i tavolini e gli spazi che hanno preso in gestione, lei raccoglie strigoli.
Mi ha insegnato a riconoscerli e ci ha fatto degli spaghetti.
Parliamo del canyon giù a valle. Me lo spiega: eh, scava oggi scava domani..
Annuisce.
E una geologa ma non me lo vuole dire.
Barba Rossa e il Don dell’ eremo lì vicino.
Gli strigoli.
C’è un eremo poco più su, ci abita da solo Massimo. Prete eremita part time mi dice.
C’è un enorme statua della madonna nel giardino, sotto molte targhette di persone scomparse.
Non guadagnerò il paradiso, ma nella vita avrò sempre il sorriso. é scritto a penna su un foglietto.
Don Massimo ha un a collezione di cose lasciate alla sua chiesa incredibili.
Ha la mia stessa macchina fotografica, manifesti del ‘700, ‘800 di Lugo ( di dove è lui).
Video antichi delle parrocchie di Lugo (dice che molte parrocchie avevano una super8):
un prete che va in bicicletta.
Gente in mezzo al fumo della falciatrice in un campo.
Pranzi.
Questa sera mi ospita lui.
La chiesetta è riferimento per una trentina di persone che vivono in quella collina, in crescita.
Una famiglia di hare krishna.
Una famiglia che fa pizze e ospita.
Una famiglia che fa vini (in disputa familiare perché il figlio 23enne vuole fare la stagione in Spagna in spiaggia, mentre lì c’è da badare alle uve).
La mattina al bar giù c’è la creme, vecchietti che Don Massimo chiama il Consiglio. Parlano e raccontano.
Mi racconta dei grandi aviatori che solcavano i cieli durante la guerra.
L’eremo
E le valli di Comacchio laggiù in fondo
E la sera mi racconta delle bellezze che nascono in quelle campagne.
Mi parla della bellezza di uscire fuori da uno stampo, di follia e di coraggio.
- Un ragazzo molisano era passato di lì. Faceva il pastore ma il proprietario del gregge aveva venduto il bestiame. Lui non voleva comprarlo, voleva solo fare il pastore, e si era messo in cammino per cercare un gregge da gestire. Ne sapeva parecchio. Sapeva che le pecore dovevano sentire che lui era lì mentre pascolavano. Distante ma lì. Metteva una sedia fuori e le guarda. Questo aumentava la produzione, la qualità del latte. Aveva un sacco di teorie. Una vocazione da pastore. Don Massimo non è riuscito ad aiutarlo ma gli ha dato un foglio di presentazione in modo che potesse continuare a cercare, chiedendo di ospitarlo nelle chiese in cui passava. L’ultima notizia che ha avuto era vicino al Friuli. Da allora è passato un anno.
- Un altro veniva ai pranzi della chiesa, mezzo matto vestito da San Francesco, seguito da una gallina in groppa a una capra, una cane, e delle oche. Faceva il suo spettacolo passando e piaceva molto.
Don Massimo era rimasto affascinato quando qualche tempo dopo conobbe nelle sue colline un altro San Francesco. Un altro signore che dormiva con gli animali, e i suoi animali mangiavano a tavola con lui. Quando c’era un ospite, come Don Massimo, si sedeva in mezzo agli animali e mangiavano insieme a tavola.
Don Massimo è abbagliato da questi personaggi e mi parlerebbe per ore. Mi dice che se ti fai un taglio strano a Bologna risulti già eccentrico. Vede nell’ illimitatezza del proprio tracciato, e nella sua assurdità, una voce bellissima.
Colleziona lacrimatoi etruschi, bottoni, pesi da bilanciere, resti della seconda guerra mondiale.
Affianco all’ eremo c’è un punto panoramico, si vedono le valli di Comacchio.
Il giorno dopo sono andato nella ridente Brisighella, mi sono preso un caffè al bar della stazione, e sono tornato a Bologna.
Maria e Massimo